Dal 1540 al 1548 Giorgio Vasari costruisce e decora personalmente la sua casa di Arezzo in Borgo San Vito (oggi via XX Settembre) che completa nel 1568 con i ritratti dei pittori che gli furono predecessori e maestri, effigiati negli ovali della Camera della Fama.
Negli anni intorno al 1560 delinea retrospettivamente, nelle “Ricordanze”, la sua parabola di artista che, partito da esordi difficili, raggiunge, grazie alla sua Virtù, fama e benessere.
Con tutti questi ‘tasselli’, di cui fanno parte anche le lettere del suo archivio privato, ricevute dagli intellettuali e dagli artisti suoi corrispondenti (tra cui Michelangelo), costruisce l’immagine di sé da tramandare ai posteri, la sua autorappresentazione, come uno degli artisti maggiori della sua epoca. Questo apparato celebrativo si fonda sulla convinzione, maturata in lui sin dagli anni della sua frequentazione del Circolo Farnese e della prima stesura delle Vite, che solo la scrittura ponga rimedio alla voracità del tempo, salvando dall’oblio, che egli chiama “seconda morte”, la memoria degli uomini illustri.
Ed è appunto la consapevolezza di questo nesso tra scrittura e sopravvivenza e trasmissione della memoria che lo porta, non solo a ricostruire la vita e le opere degli artisti che lo hanno preceduto “da Cimabue insino a’ giorni nostri”, ma anche a riorganizzare e a riconfigurare la sua personale storia e memoria. E’ un percorso che culmina nell’Autobiografia con la quale Vasari chiude la seconda edizione delle Vite, collocando se stesso e la ‘rilettura’ della sua esistenza in posizione speculare, rispetto alla Vita di Michelangelo, che aveva messo a conclusione della prima edizione.
Il testo è tratto da:
Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze S.P.E.S., già Sansoni, 1966-1987, vol. VI, pp. 369-413.