dove fece poi il suo eremo, con alcune fantasie, grottesche et altre cose che vi si veggiono. E ciò fatto, mi ordinarono che la state dell’anno a venire io tornassi a fare la tavola dell’altar grande.
Intanto il già detto don Miniato Pitti, che allora era visitator della Congregazione di Monte Uliveto, avendo veduta la tavola del Monte S. Savino e l’opere di Camaldoli, trovò in Bologna don Filippo Serragli fiorentino, abbate di S. Michele in Bosco, e gli disse che, avendosi a dipignere il refettorio di quell’onorato monasterio, gli pareva che a me e non ad altri si dovesse quell’opera allogare. Per che fattomi andare a Bologna, ancorché l’opera fusse grande e d’importanza, la tolsi a fare; ma prima volli vedere tutte le più famose opere di pittura che fussero in quella città, di Bolognesi e d’altri. L’opera dunque della testata di quel refettorio fu divisa in tre quadri. In uno aveva ad essere quando Abramo nella valle Mambre apparecchiò da mangiare agl’Angeli. Nel secondo Cristo che, essendo in casa di Maria Madalena e Marta, parla con essa Marta, dicendogli che Maria ha eletto l’ottima parte. E nella terza aveva da essere dipinto S. Gregorio a mensa co’ dodici poveri, fra i quali conobbe essere Cristo. Pertanto, messo mano all’opera, in quest’ultima finsi San Gregorio a tavola in un convento e servito da monaci Bianchi di quell’Ordine, per potervi accomodare que’ Padri, secondo che essi volevano. Feci oltre ciò nella figura di quel Santo Pontefice l’effigie di papa Clemente VII , et intorno, fra molti signori, ambasciadori, principi et altri personaggi che lo stanno a vedere mangiare, ritrassi il duca Alessandro de’ Medici, per memoria de’ beneficii e favori che io aveva da lui ricevuti e per essere stato chi egli fu, e con esso molti amici miei. E fra coloro che servono a tavola [i] poveri, ritrassi alcuni frati miei domestici di quel convento; come di forestieri che mi servivano, dispensatore, canovaio et altri così fatti, e così l’abate Serraglio, il Generale don Cipriano da Verona e il Bentivoglio. Parimente ritrassi il naturale ne’ vestimenti di quel Pontefice, contrafacendo velluti, domaschi et altri drappi d’oro e di seta d’ogni sorte. L’apparecchio poi, vasi, animali et altre cose, feci fare a Cristofano dal Borgo, come si disse nella sua Vita. Nella seconda storia cercai fare di maniera le teste, i panni et i casamenti, oltre all’essere diversi dai primi, che facessino più che si può apparire l’affetto di Cristo nell’instituire Madalena, e l’affezione e prontezza di Marta nell’ordinare il convito e dolersi d’essere lasciata sola dalla sorella in tante fatiche e ministerio; per non dir nulla dell’attenzione degl’Apostoli, et altre molte cose da essere considerate in questa pittura. Quanto alla terza