e mio amicissimo, fui forzato, perché molto disiderava vedermi, andar là; il che feci anco volentieri per vedere l’opere di Tiziano e d’altri pittori in quel viaggio. La qual cosa mi venne fatta, però che in pochi giorni vidi in Modena et in Parma l’opere del Coreggio, quelle di Giulio Romano in Mantoa, e l’antichità di Verona. Finalmente giunto in Vinezia con due quadri dipinti di mia mano con i cartoni di Michelagnolo, gli donai a don Diego di Mendozza, che mi mandò dugento scudi d’oro. Né molto dimorai a Vinezia che, pregato dall’Aretino, feci ai Signori della Calza l’apparato d’una loro festa, dove ebbi in mia compagnia Batista Cungii e Cristofano Gherardi dal Borgo S. Sipolcro e Bastiano Flori aretino, molto valenti e pratichi, di che si è in altro luogo ragionato a bastanza; e gli nove quadri di pittura nel palazzo di messer Giovanni Cornaro, cioè nel soffittato d’una camera del suo palazzo, che è da San Benedetto.
Dopo queste et altre opere di non piccola importanza che feci allora in Vinezia, me ne partì’, ancorché io fussi soprafatto dai lavori che mi venivano per le mani, alli sedici d’agosto l’anno 1542, e tornaimene in Toscana; dove, avanti che ad altro volessi por mano, dipinsi nella volta d’una camera, che di mio ordine era stata murata nella già detta mia casa, tutte l’Arti che sono sotto il disegno, o che da lui dependono. Nel mezzo è una Fama, che siede sopra la palla del mondo e suona una tromba d’oro, gettandone via una di fuoco, finta per la Maledicenza; et intorno a lei sono con ordine tutte le dette Arti con i loro strumenti in mano. E perché non ebbi tempo a far il tutto, lasciai otto ovati per fare in essi otto ritratti di naturale de’ primi delle nostre arti. Ne’ medesimi giorni feci alle monache di Santa Margherita di quella città, in una cappella del loro orto, a fresco, una Natività di Cristo di figure grandi quanto il vivo.
E così, consumata che ebbi nella patria il resto di quella state e parte dell’autunno, andai a Roma; dove essendo dal detto messer Bindo ricevuto e molto carezzato, gli feci in un quadro a olio un Cristo, quanto il vivo, levato di croce e posto in terra a’ piedi della Madre, e nell’aria Febo che oscura la faccia del Sole e Diana quella della Luna. Nel paese poi, oscurato da queste tenebre, si veggiono spezzarsi alcuni monti di pietra, mossi dal terremoto che fu nel pa[r]tir del Salvatore; e certi morti corpi di Santi si veggiono, risorgendo, uscire de’ sepolcri in varii modi. Il quale quadro, finito che fu, per sua grazia non dispiacque al maggior pittore, scultore et architetto che sia stato a’ tempi nostri e forse de’ nostri passati. Per mezzo anco di questo quadro fui, mostrandogliele il Giovio e messer Bindo, conosciuto