che saggio dato me ne avete in questa narrazione». Ma parendogli che io a ciò fare non fussi molto risoluto, me lo fe’ dire al Caro, al Molza, al Tolomei et altri miei amicissimi; per che risolutomi finalmente, vi misi mano con intenzione, finita che fusse, di darla a uno di loro, che, rivedutola et acconcia, la mandasse fuori sotto altro nome che il mio.
Intanto, partito di Roma l’anno 1546 del mese d’ottobre, e venuto a Fiorenza, feci alle monache del famoso monasterio delle Murate, in tavola a olio, un Cenacolo per lo loro refettorio; la quale opera mi fu fatta fare e pagata da papa Paulo Terzo, che aveva monaca in detto monasterio una sua cognata, stata contessa di Pitigliano. E dopo feci in un’altra tavola la Nostra Donna che ha Cristo fanciullo in collo, il quale sposa Santa Caterina vergine e martire, e due altri Santi; la qual tavola mi fece fare messer Tomaso Cambi per una sua sorella, allora badessa nel monasterio del Bigallo fuor di Fiorenza. E quella finita, feci a monsignor de’ Rossi de’ conti di San Secondo, e vescovo di Pavia, due quadri grandi a olio: in uno è San Ieronimo e nell’altro una Pietà, i quali amendue furono mandati in Francia. L’anno poi 1547, finì del tutto per lo Duomo di Pisa, ad istanza di messer Bastiano della Seta Operaio, un’altra tavola che aveva cominciata; e dopo a Simon Corsi, mio amicissimo, un quadro grande a olio d’una Madonna.
Ora, mentre che io faceva quest’opere, avendo condotto a buon termine il libro delle Vite degl’artefici del disegno, non mi restava quasi altro a fare che farlo trascrivere in buona forma, quando a tempo mi venne alle mani don Gian Matteo Faetani da Rimini, monaco di Monte Oliveto, persona di lettere e d’ingegno, perché io gli facessi alcun’opere nella chiesa e monasterio di Santa Maria di Scolca d’Arimini, là dove egli era abate. Costui dunque avendomi promesso di farlami trascrivere a un suo monaco, ecc[ellente] scrittore, e di correggerla egli stesso, mi tirò ad Arimi a fare, per questa comodità, la tavola e altar maggiore di detta chiesa, che è lontana dalla città circa 3 miglia. Nella qual tavola feci i Magi che adorano Cristo, con una infinità di figure da me condotte in quel luogo soletario con molto studio, imitando quanto io potei gl’uomini delle corti d’i tre Re, mescolati insieme, ma in modo però che si conosce all’arie de’ volti di che regione e soggetto a qual re sia ciascuno; con ciò sia che alcuni hanno le carnagioni bianche, i secondi bigie et altri nere, oltreché la diversità delli abiti e varie portature fa vaghezza e distinzione. È messa la detta tavola in mezzo da due gran quadri, nei quali è il resto