pittura avendo, sùbito che fu finita, mandata nelle mie case d’Arezzo perché fusse consegnata agl’uomini di detta Compagnia, avvenne che passando per Arezzo monsignor Giorgio cardinale d’Armignac, franzese, vide, nell’andare per altro a vedere la mia casa, il detto segno, overo stendardo; per che piacciutogli, fece ogni opera d’averlo, offerendo gran prezzo, per mandarlo al re di Francia: ma io non volli mancar di fede a chi me l’aveva fatto fare, perciò che, se bene molti dicevano che n’arei potuto fare un altro, non so se mi fusse venuto fatto così bene e con pari diligenza. E non molto dopo feci per messer Anibale Caro, secondo che mi aveva richiesto molto innanzi per una sua lettera, che è stampata, in un quadro Adone che muore in grembo a Venere, secondo l’invenzione di Teocrito; la quale opera fu poi, e quasi contra mia voglia, condotta in Francia e data a messer Albizo del Bene, insieme con una Psiche che sta mirando con una lucerna Amore che dorme, e si sveglia avendolo cotto una favilla di essa lucerna. Le quali tutte figure, ignude e grandi quanto il vivo, furono cagione che Alfonso di Tommaso Cambi, giovanetto allora bellissimo, letterato, virtuoso e molto cortese e gentile, si fece ritrarre ignudo e tutto intero in persona d’uno Endimione, cacciatore amato dalla Luna; la cui candidezza, et un paese all’intorno capriccioso, hanno il lume dalla chiarezza della luna, che fa nell’oscuro della notte una veduta assai propria e naturale, perciò che io m’ingegnai con ogni diligenza di contrafare i colori proprii che suol dare il lume di quella bianca giallezza della luna alle cose che percuote. Dopo questo, dipinsi due quadri per mandare a Raugia: in uno la Nostra Donna e nell’altro una Pietà; et appresso a Francesco Botti, in un gran quadro, la Nostra Donna col Figliuolo in braccio e Giuseppo; il quale quadro, che io certo feci con quella diligenza che seppi maggiore, si portò seco in Ispagna.
Forniti questi lavori, andai l’anno medesimo a vedere il cardinale de’ Monti a Bologna, dove era legato; e con esso dimorando alcuni giorni, oltre a molti altri ragionamenti, seppe così ben dire, e ciò con tanto buone ragioni persuadermi, che io mi risolvei, stretto da lui, a far quello che insino allora non avea voluto fare, cioè a pigliare moglie; e così tolsi, come egli volle, una figliuola di Francesco Bacci, nobile cittadino aretino.
Tornato a Fiorenza, feci un gran quadro di Nostra Donna secondo un mio nuovo capriccio e con più figure, il quale ebbe messer Bindo Altoviti, che per ciò mi donò cento scudi d’oro, e lo condusse a Roma, dove è oggi nelle sue case. Feci oltre ciò nel medesimo tempo