gl’erano piaciute, un modello di legname, per meglio potere a suo senno andare accomodando tutti gl’appartamenti, e dirizzare e mutar le scale vecchie che gli parevano erte, mal considerate e cattive. Alla qual cosa, ancorché impresa difficile e sopra le forze mi paresse, misi mano, e condussi, come seppi il meglio, un grandissimo modello, che è oggi appresso Sua Ecc[ellenza], più per ubbidirla che con speranza m’avesse da riuscire. Il quale modello, finito che fu, o fusse sua o mia ventura, o il disiderio grandissimo che io aveva di sodisfare, gli piacque molto. Per che, dato mano a murare, a poco a poco si è condotto, facendo ora una cosa e quando un’altra, al termine che si vede. Et intanto che si fece il rimanente, condussi, con ricchissimo lavoro di stucchi in varii spartimenti, le prime otto stanze nuove, che sono in sul piano della gran Sala, fra salotti, camere et una cappella, con varie pitture et infiniti ritratti di naturale che vengono nelle istorie, cominciando da Cosimo Vecchio, e chiamando ciascuna stanza dal nome d’alcuno disceso da lui, grande e famoso.
In una adunque sono l’azzioni del detto Cosimo più notabili e quelle virtù che più furono sue proprie, et i suoi maggiori amici e servitori, col ritratto de’ figliuoli, tutti di naturale; e così sono insomma quella di Lorenzo Vecchio, quella di papa Leone suo figliuolo, quella di papa Clemente, quella del signor Giovanni, padre di sì gran Duca, quella di esso signor duca Cosimo. Nella cappella è un bellissimo e gran quadro di mano di Raffaello da Urbino, in mez[z]o a S. Cosimo e Damiano, mie pitture, nei quali è detta cappella intitolata. Così delle stanze poi di sopra dipinte alla signora duchessa Leonora, che sono quattro, sono azzioni di donne illustri, greche, ebree, latine e toscane, a ciascuna camera una di queste: per che, oltre che altrove n’ho ragionato, se ne dirà pienamente nel Dialogo che tosto daremo in luce, come s’è detto, ché il tutto qui raccontare sarebbe stato troppo lungo. Delle quali mie fatiche, ancora che continue, difficili e grandi, ne fui dalla magnanima liberalità di sì gran Duca, oltre alle provisioni, grandemente e largamente rimunerato con donativi, e di case onorate e comode in Fiorenza et in villa, perché io potessi più agiatamente servirlo; oltre che nella patria mia d’Arezzo mi ha onorato del supremo magistrato del Gonfalonieri et altri ufizii, con facultà che io possa sostituire in quegli un de’ cittadini di quel luogo; senzaché a ser Piero mio fratello ha dato in Fiorenza ufizî d’utile, e parimente a’ mia parenti d’Arezzo favori eccessivi: là dove io non sarò mai per le tante amorevolezze sazio di confessar l’obligo che io tengo con questo signore.