fabrica de’ Magistrati, che volta sul fiume d’Arno, della quale non ho mai fatto murare altra cosa più difficile né più pericolosa, per essere fondata in sul fiume e quasi in aria. Ma era necessaria, oltre all’altre cagioni, per appiccarvi, come si è fatto, il gran corridore che, attraversando il fiume, va dal Palazzo ducale al palazzo e giardino de’ Pitti: il quale corridore fu condotto in cinque mesi con mio ordine e disegno, ancorché sia opera da pensare che non potesse condursi in meno di cinque anni. Oltre che anco fu mia cura il far rifare, per le medesime nozze, et accrescere nella tribuna maggiore di Santo Spirito i nuovi ingegni della festa che già si faceva in San Felice in Piazza: il che tutto fu ridotto a quella perfezzione che si poteva maggiore, onde non si corrono più di que’ pericoli che già si facevano in detta festa. È stata similmente mia cura l’opera del palazzo e chiesa de’ Cavalieri di Santo Stefano in Pisa, e la tribuna overo cupola della Madonna dell’Umiltà in Pistoia, che è opera importantissima. Di che tutto, senza scusare la mia imperfezzione, la quale conosco davantaggio, se cosa ho fatto di buono, rendo infinite grazie a Dio, dal quale spero avere anco tanto d’aiuto che io vedrò, quando che sia, finita la terribile impresa delle dette facciate della Sala, con piena sodisfazione de’ miei Signori, che già, per ispazio di tredici anni, mi hanno dato occasione di grandissime cose, con mio onore et utile, operare, per poi, come stracco, logoro et invecchiato riposarmi. E se le cose dette, per la più parte, ho fatto con qualche fretta e prestezza, per diverse cagioni, questa spero io di fare con mio commodo, poi che il signor Duca si contenta che io non la corra, ma la faccia con agio, dandomi tutti quei riposi e quelle ricreazioni che io medesimo so disiderare.
Onde l’anno passato, essendo stracco per le molte opere sopradette, mi diede licenza che io potessi alcuni mesi andare a spasso. Per che messomi in viaggio, cercai poco meno che tutta Italia, rivedendo infiniti amici e miei signori, e l’opere di diversi eccellenti artefici, come ho detto di sopra ad altro proposito. In ultimo, essendo in Roma per tornarmene a Fiorenza, nel baciare i piedi al santissimo e beatissimo papa Pio Quinto, mi comise che io gli facessi in Fiorenza una tavola per mandarla al suo convento e chiesa del Bosco, ch’egli faceva tuttavia edificare nella sua patria, vicino ad Alessandria della Paglia. Tornato dunque a Fiorenza, e per averlomi Sua Santità comandato e per le molte amorevolezze fattemi, gli feci, sì come avea commessomi, in una tavola l’Adorazione de’ Magi; la quale, come seppe essere stata da me condotta a fine, mi fece intendere che per sua contentezza