da vivere ai suoi monaci, che sono arrivati alcuni camelli carichi di farina alla porta, e’ vede che gl’Angeli di Dio gli conducevano miracolosamente grandissima quantità di farina. Alla signora Gentilina, madre del signor Chiappino e signor Paulo Vitelli, dipinsi in Fiorenza, e di lì le mandai a Città di Castello, una gran tavola, in cui è la Coronazione di Nostra Donna, in alto un ballo d’Angeli, et a basso molte figure maggiori del vivo; la qual tavola fu posta in San Francesco di detta città. Per la chiesa del Poggio a Caiano, villa del signor Duca, feci in una tavola Cristo morto in grembo alla Madre, San Cosimo e San Damiano che lo contemplano, et un Angelo in aria, che piangendo mostra i misterii della Passione di esso Nostro Salvatore. E nella chiesa del Carmine di Fiorenza fu posta, quasi ne’ medesimi giorni, una tavola di mia mano nella cappella di Matteo e Simon Botti, miei amicissimi, nella quale è Cristo crucifisso, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena che piangono. Dopo, a Iacopo Capponi feci per mandare in Francia due gran quadri: in uno è la Primavera e nell’altro l’Autunno, con figure grandi e nuove invenzioni; et in un altro quadro maggiore un Cristo morto sostenuto da due Angeli e Dio Padre in alto. Alle monache di Sa[n]ta Maria Novella d’Arezzo mandai, pur di que’ giorni o poco avanti, una tavola, dentro la quale è la Vergine annunziata dall’Angelo, e dagli lati due Santi; et alle monache di Luco di Mugello dell’Ordine di Camaldoli un’altra tavola, che è nel loro coro di dentro, dove è Cristo crucifisso, la Nostra Donna, San Giovanni e Maria Madalena.
A Luca Torrigiani, molto mio amorevolissimo e domestico, il quale desiderando, fra molte cose che à dell’arte nostra, avere una pittura di mia mano propria per tenerla appresso di sé, gli feci in un gran quadro Venere ignuda con le tre Grazie attorno, che una gli acconcia il capo, l’altra gli tiene lo specchio e l’altra versa acqua in un vaso per lavarla; la qual pittura m’ingegnai condurla col maggiore studio e diligenza che io potei, sì per contentare non meno l’animo mio che quello di sì caro e dolce amico. Feci ancora a Antonio de’ Nobili, generale depositario di Sua Eccell[enza] e molto mio affezionato, oltre a un suo ritratto, sforzato contro alla natura mia di farne, una testa di Gesù Cristo, cavata dalle parole che Lentulo scrive della effigie sua, che l’una e l’altra fu fatta con diligenzia; e parimente un’altra alquanto maggiore, ma simile alla detta, al signor Mandragone, primo oggi appresso a don Francesco de’ Medici, principe di Fiorenza e Siena, quali donai a Sua Signoria per esser egli molto affezionato alle virtù e nostre arti, a cagione che e’ possa ricordarsi, quando la vede, che io
