dalla città perché io non appestassi, fu cagione che, per fuggire l’ozio, mi andai esercitando pel contado d’Arezzo, vicino ai nostri luoghi, in dipignere alcune cose a fresco ai contadini del paese, ancorché io non avessi quasi ancor mai tocco colori: nel che fare m’avviddi che il provarsi e fare da sé aiuta, insegna e fa che altri fa bonissima pratica.
L’anno poi 1528, finita la peste, la prima opera che io feci fu una tavoletta nella chiesa di San Piero d’Arez[z]o de’ frati de’ Servi, nella quale, che è appoggiata a un pilastro, sono tre mezze figure: Sant’Agata, San Rocco e San Bastiano; la qual pittura, vedendola il Rosso, pittore famosissimo, che di que’ giorni venne in Arezzo, fu cagione che, conoscendovi qualche cosa di buono cavata dal naturale, mi volle conoscere, e che poi m’aiutò di disegni e di consiglio. Né passò molto che per suo mez[z]o mi diede messer Lorenzo Gamurrini a fare una tavola, della quale mi fece il Rosso il disegno, et io poi la condussi con quanto più studio, fatica e diligenza mi fu possibile, per imparare et acquistarmi un poco di nome. E se il potere avesse agguagliato il volere, sarei tosto divenuto pittore ragionevole, cotanto mi affaticava e studiava le cose dell’arte: ma io trovava le difficultà molto maggiori di quello che a principio aveva stimato. Tuttavia, non perdendomi d’animo, tornai a Fiorenza; dove veggendo non poter se non con lunghezza di tempo divenir tale che io aiutassi tre sorelle e due fratelli minori di me, statimi lasciati da mio padre, mi posi all’orefice; ma vi stetti poco, perciò che venuto il campo a Fiorenza, l’anno 1529, me n’andai con Manno orefice e mio amicissimo a Pisa, dove lasciato da parte l’esercizio dell’orefice, dipinsi a fresco l’arco che è sopra la porta della Compagnia vecchia de’ Fiorentini, et alcuni quadri a olio che mi furono fatti fare per mezzo di don Miniato Pitti, abbate allora d’Agnano fuor di Pisa, e di Luigi Guicciardini, che in quel tempo era in Pisa.
Crescendo poi più ogni giorno la guerra, mi risolvei tornarmene in Arez[z]o; ma non potendo per la diritta via et ordinaria, mi condussi per le montagne di Modena a Bologna; dove trovando che si facevano per la coronazione di Carlo Quinto alcuni archi trionfali di pittura, ebbi così giovinetto da lavorare con mio utile et onore. E perché io disegnava assai acconciamente, arei trovato da starvi e da lavorare; ma il disiderio che io aveva di riveder la mia famiglia e’ parenti, fu cagione che, trovata buona compagnia, me ne tornai in Arezzo, dove trovato in buono essere le cose mie per la diligente custodia avutane dal detto don Antonio mio zio, quietai l’animo et attesi al disegno, facendo anco alcune cosette a olio di non molta importanza. Intanto,