essendo il detto don Miniato Pitti fatto non so se abbate o priore di Santa Anna, monasterio di Monte Oliveto in quel di Siena, mandò per me; e così feci a lui et all’Albenga, loro Generale, alcuni quadri et altre pitture. Poi, essendo il medesimo fatto abbate di San Bernardo d’Arezzo, gli feci nel poggiuolo dell’organo, in due quadri a olio, Iobbe e Moisè. Per che, piaciuta a que’ monaci l’opera, mi feciono fare innanzi alla porta principale della chiesa, nella volta e facciate d’un portico, alcune pitture a fresco, cioè i quattro Evangelisti con Dio Padre nella volta et alcun’altre figure grandi quanto il vivo: nelle quali, se bene, come giovane poco sperto, non feci tutto che arebbe fatto un più pratico, feci nondimeno quello che io seppi e cosa che non dispiacque a que’ Padri, avuto rispetto alla mia poca età e sperienza.
Ma non sì tosto ebbi compiuta quell’opera, che passando il cardinale Ipolito de’ Medici per Arezzo in poste, mi condusse a Roma a’ suoi servigii, come s’è detto nella Vita del Salviati, là dove ebbi commodità, per cortesia di quel signore, di attendere molti mesi allo studio del disegno. E potrei dire con verità questa commodità e lo studio di questo tempo essere stato il mio vero e principal maestro in questa arte, se bene per innanzi mi aveano non poco giovato i sopra nominati, e non mi s’era mai partito del cuore un ardente desiderio d’imparare e uno indefesso studio di sempre disegnare giorno e notte. Mi furono anco di grande aiuto in que’ tempi le concorrenze de’ giovani miei eguali e compagni, che poi sono stati per lo più eccellentissimi nella nostra arte. Non mi fu anco se non assai pungente stimolo il disiderio della gloria et il vedere molti esser riusciti rarissimi e venuti a gradi et onori. Onde diceva fra me stesso alcuna volta: «Perché non è in mio potere con assidua fatica e studio procacciarmi delle grandezze e gradi che s’hanno acquistato tanti altri? Furono pure anch’essi di carne e d’ossa come son io». Cacciato dunque da tanti e sì fieri stimoli e dal bisogno che io vedeva avere di me la mia famiglia, mi disposi a non volere perdonare a niuna fatica, disagio, vigilia e stento per conseguire questo fine. E così propostomi nell’animo, non rimase cosa notabile allora in Roma, né poi in Fiorenza et altri luoghi ove dimorai, la quale io in mia gioventù non disegnassi: e non solo di pitture, ma anche di sculture et architetture antiche e moderne; et oltre al frutto ch’io feci in disegnando la volta e cappella di Michelagnolo, non restò cosa di Raffaello, Pulidoro e Baldassarre da Siena che similmente io non disegnassi in compagnia di Francesco Salviati, come già s’è detto nella sua Vita. Et acciò che avesse ciascuno