di noi i disegni d’ogni cosa, non disegnava il giorno l’uno quello che l’altro, ma cose diverse; di notte poi ritraevamo le carte l’uno dell’altro, per avanzar tempo e fare più studio: per non dir nulla che le più volte non mangiavamo la mattina, se non così ritti, e poche cose.
Dopo la quale incredibile fatica, la prima opera che m’uscisse di mano, come di mia propria fucina, fu un quadro grande, di figure quanto il vivo, d’una Venere con le Grazie che la adornavano e facevan bella, la quale mi fece fare il cardinale de’ Medici; nel qual quadro non accade parlare, perché fu cosa da giovanetto, né io lo toccherei, se non che mi è grato ricordarmi ancor di que’ primi principii e ‘ molti giovamenti nel principio dell’arti. Basta che quel signore et altri mi diedero a credere che fusse un non so che di buon principio e di vivace e pronta fierez[z]a. E perché fra l’altre cose vi avea fatto per mio capriccio un Satiro libidinoso, il quale, standosi nascosto fra certe frasche, si rallegrava e godeva in guardare le Grazie e Venere ignude, ciò piacque di maniera al cardinale, che, fattomi tutto di nuovo rivestire, diede ordine che facessi in un quadro maggiore, pur a olio, la battaglia de’ Satiri intorno a Fauni, silvani e putti, che quasi facessero una Baccanalia; per che, messovi mano, feci il cartone e dopo abbozzai di colori la tela, che era lunga dieci braccia. Avendo poi a partire il cardinale per la volta d’Ungheria, fattomi conoscere a papa Clemente, mi lasciò in protezione di Sua Santità, che mi dette in custodia del signor Ieronimo Montaguto, suo maestro di camera, con lettere che, volendo io fuggire l’aria di Roma quella state, io fussi riceuto a Fiorenza dal duca Alessandro: il che sarebbe stato bene che io avessi fatto, perciò che, volendo io pure stare in Roma, fra i caldi, l’aria e la fatica, amalai di sorte, che per guarire fui forzato a farmi portare in ceste ad Arezzo. Pure, finalmente guarito, intorno alli X del dicembre vegnente, venni a Fiorenza, dove fui dal detto Duca ricevuto con buona cera, e poco appresso dato in custodia al magnifico messer Ottaviano de’ Medici; il quale mi prese di maniera in protezzione, che sempre, mentre visse, mi tenne in luogo di figliuolo: la buona memoria del quale io riverirò sempre e ricorderò come d’un mio amorevolissimo padre.
Tornato dunque ai miei soliti studii, ebbi comodo, per mezzo di detto signore, d’entrare a mia posta nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, dove sono l’opere di Michelagnolo, essendo egli di quei giorni andato a Roma; e così le studiai per alcun tempo con molta diligenza così come erano in terra. Poi messomi a lavorare, feci in un quadro di