Costituito per la maggior parte da documentazione contabile e amministrativa riguardante la gestione del patrimonio familiare (registri di contratti, libri di ricordi, cause, libri di entrata e uscita, di debitori e creditori, ecc.) e da carteggi concernenti vari membri della famiglia, esso ne accompagna il ciclo vitale interrompendosi alla fine del XVII secolo, con l’estinzione della linea maschile della discendenza Vasari.
Le carte di Giorgio Vasari
La parte sicuramente più peculiare e degna di nota dell’Archivio Vasari è rappresentata dal nucleo di documenti relativi a Giorgio Vasari (1511-1574). Si tratta in tutto di 10 unità archivistiche, di cui 8 contenenti le lettere inviate a Vasari dai suoi corrispondenti, a cui si aggiungono il Libro delle Ricordanze e lo Zibaldone (o Libro delle Inventioni).
Tra i corrispondenti di Vasari vi sono alcuni degli intellettuali e degli artisti più prestigiosi della sua epoca con i quali egli collaborò e si legò di amicizia (come Paolo Giovio, Annibal Caro, Vincenzio Borghini, Pierfrancesco Giambullari, Cosimo Bartoli e Michelangelo Buonarroti), ma anche i suoi principali committenti, come il Papa Pio V e, soprattutto, Cosimo I e Francesco de’ Medici, al servizio dei quali Vasari lavorò dal 1555 alla morte, avvenuta il 27 giugno del 1574.
Nel carteggio troviamo anche un piccolo nucleo di lettere scritte da Vasari stesso: si tratta di 24 missive da lui inviate a Cosimo I de’ Medici per sottoporgli le soluzioni da adottare nei lavori a Palazzo Vecchio e nella costruzione degli Uffizi. Il Duca esprimeva il proprio volere tramite annotazioni (dette “rescritti”) apposte direttamente sulle lettere di Vasari dai segretari ducali. Le lettere – così annotate – venivano poi rispedite al Vasari perché eseguisse le decisioni del Principe: è per questo motivo che si trovano nell’archivio.
Se diamo uno sguardo d’insieme al carteggio vasariano possiamo constatare che il volume della corrispondenza ricevuta da Vasari si presenta esiguo e discontinuo negli anni che vanno dal 1533 al 1544 (18 lettere in tutto) e comincia a farsi invece più consistente a partire dagli anni 1545–1546, in corrispondenza con la frequentazione, a Roma, di alcuni intellettuali del circolo del Cardinale Alessandro Farnese (in primis Paolo Giovio e Annibal Caro) e con la preparazione della prima edizione delle Vite. Contemporaneamente muta anche il contenuto delle lettere, che sale di tono e di interesse rispetto al carattere essenzialmente pratico ed utilitaristico di quelle precedenti.
Nell’arco di tempo che va, grosso modo, dal 1546 al 1573, se da un lato si deve registrare un costante e progressivo aumento del numero delle lettere, riconducibili, per la maggior parte, alla preparazione della seconda edizione delle Vite e alle numerose e svariate attività che Vasari andava svolgendo al servizio di Cosimo e Francesco de’ Medici e del pontefice Pio V, dall’altro si devono constatare alcune “strane” assenze. C’è, per esempio, una sola lettera del Cardinal Alessandro Farnese, per il quale Vasari lavorò assiduamente, neppure una di Bindo Altoviti, che pure fino al 1553 fu uno dei suoi committenti più assidui, ed ancora nessuna lettera di Francesco de’ Rossi, detto il Salviati, pittore legato a Vasari da un’antica e solida amicizia, testimoniata, secondo quanto lui stesso scrive nella seconda edizione delle Vite, “da un infinito numero di lettere” che egli dichiara di conservare presso di sé.
Un caso a parte costituiscono le dieci lettere che Pietro Aretino scrisse a Vasari dal 1536 al 1550: anche queste non sono presenti nell’archivio e le conosciamo solo attraverso l’edizione che ne fece lo stesso Aretino, ma sappiamo che questi era uso richiedere indietro gli originali ai suoi corrispondenti.
A prescindere da questo caso particolare, c’è dunque da chiedersi a cosa possano essere imputate le “assenze“ sopra segnalate: a fenomeni di precoce dispersione, più che probabili in una documentazione conservata originariamente sciolta e che, per di più, dovette seguire i frequenti spostamenti del suo destinatario, oppure ad una selezione operata consapevolmente e vòlta a conservare solo alcune specifiche testimonianze?
È probabile che vi sia stata più di una causa, anche se non si può fare a meno di notare come la documentazione assente riguardi, in particolare, i “potentati” romani più fieramente avversi alla restaurazione del regime mediceo a Firenze, i quali, fino alla metà del secolo, costituirono uno dei principali poli di attrazione del fuoruscitismo fiorentino, notoriamente filo-repubblicano.
Queste frequentazioni, indispensabili a Vasari nella prima fase della sua vita, costituivano di fatto un serio ostacolo al suo impiego presso Cosimo I de’ Medici. L’artista aretino cerca pertanto di rassicurare il Duca sulla sua personale fedeltà sia dedicandogli la prima edizione delle Vite, sia con la lettera con cui, l’8 marzo 1550, gliene spedisce un esemplare appena stampato.
Frontespizio del “Le Vite”, edizione Torrentiniana, Firenze, 1550
In questa occasione Vasari, che non manca di ricordare i suoi antichi legami con la famiglia Medici, ribadisce la sua personale devozione al Duca e dice di aver aspettato inutilmente di essere chiamato al suo servizio, “mercié forse d’un biasimo, che per campar dallo stento mi è convenuto andar a trovar di luogo in luogo chi mi metta in opera”.
Giorgio Vasari tra memoria e autorappresentazione
Vasari entra stabilmente al servizio di Cosimo I nel novembre del 1554, dopo la definitiva sconfitta dei fuorusciti fiorentini e delle truppe franco-senesi a Marciano in Val di Chiana per mano delle milizie imperiali e di quelle medicee. È a partire da questo periodo, e da questa raggiunta posizione, che egli si impegna, in particolare negli anni che vanno dal 1566 al 1568, nella riorganizzazione e nella riconfigurazione della sua personale storia e memoria.
Di questa riconfigurazione fanno parte alcune azioni significative: nel 1568 dà alle stampe la seconda edizione delle Vite chiudendola con la sua Autobiografia, in cui svolge compiutamente il tema della predestinazione della sua vocazione artistica e del suo rapporto privilegiato con i Medici; delinea nelle Ricordanze, che dichiara di aver iniziato a scrivere appena sedicenne, dopo la morte del padre Antonio, avvenuta nel 1527, la parabola dell’artista che, partito da esordi difficili, riesce con la sua Virtù e il suo ingegno a conseguire Fama e benessere; utilizza, per autocelebrarsi e autorappresentarsi, anche i documenti del suo archivio: le lettere del Giovio e del Caro in cui si parla della fama imperitura che gli verrà dalle Vite e le lettere che gli ha inviato Michelangelo che testimoniano la sua amicizia con il più grande degli artisti contemporanei (lettera Michelangelo a Giorgio Vasari del 19 settembre 1554, Museo Casa Vasari Arezzo, Archivio Vasari, , 12 (46), cc. 9r-10v).
Frontespizio delle “Ricordanze”, Museo Casa Vasari Arezzo, Archivio Vasari 30 (64), c.1r
Fulcro di questo apparato celebrativo, di questa sorta di “macchina della memoria” è la casa di Borgo S. Vito in Arezzo che Vasari ha costruito e decorato personalmente dal 1540 in poi e che completa proprio nel 1568 con i ritratti dei pittori che gli furono predecessori e maestri, effigiati negli ovali della Camera della Fama: il bisnonno Lazzaro, che da pittore di selle promuove a capostipite di una progenie di artisti, Luca Signorelli, Spinello aretino, Bartolomeo della Gatta, Michelangelo, Andrea Del Sarto ed, infine se stesso.
Museo Casa Vasari Arezzo, Sala della Fama e delle Arti, Giorgio Vasari, autoritratto © SABAP per le province di Siena Grosseto e Arezzo. Foto: Alessandro Benci.
Il testamento olografo del 25 maggio 1568, che l’artista consegna sigillato nelle mani dell’amico Don Vincenzio Borghini, suggella questa complessa operazione di costruzione e trasmissione della memoria, vincolando, con l’istituto giuridico del fidecommesso, gli eredi diretti (e nel caso di estinzione della linea maschile della famiglia, anche la Fraternita di Santa Maria della Misericordia di Arezzo, designata erede universale) al mantenimento di tutto il complesso dell’eredità vasariana, in primis della casa di S. Vito che non poteva essere affittata per periodi superiori a cinque anni, né divisa “mai con mura né mattoni sopra mattoni o d’altro”.
Riorganizzazione e trasmissione dell’archivio: l’opera di Giorgio Vasari il Giovane
Il 27 giugno del 1574 Giorgio Vasari muore a Firenze, nella casa di Borgo S. Croce che Cosimo I gli aveva donato, con privilegio del 20 giugno 1561, estendendone poi la proprietà a tutta “linea masculina” della famiglia con privilegio del 1 ottobre 1568. Non lascia figli legittimi, sono perciò suoi eredi il fratello ser Piero e i suoi figli Marcantonio, Francesco e Giorgio.
Giorgio di ser Piero (1562-1625), che verrà poi detto, per distinguerlo dal suo più illustre zio, Giorgio Vasari il Giovane, è una poliedrica personalità di studioso, artista, teorico e dilettante delle più svariate discipline, dall’architettura all’arte militare, all’ottica, all’astrologia, alla matematica. Egli è da ricordare anche per l’opera di conservazione, riorganizzazione, compendio e, in alcuni casi, anche di interpolazione delle testimonianze vasariane. A cominciare dai suoi interventi sulle Ricordanze e lo Zibaldone; sulle lettere di Vasari a “diversi amici sua” che raccolse, come dichiara, da certi suoi scritti e copiò in un unico codice (il Riccardiano 2354), suscitando le giuste perplessità del Frey, per finire ai Ragionamenti di cui curò la pubblicazione nel 1588 (E. Passignat, Libro 2015).
Per quanto riguarda in particolare le lettere ricevute da Vasari conservate nell’archivio di famiglia, sappiamo che Giorgio Vasari il Giovane, trovatosi di fronte ad una notevole mole di documenti sciolti, li riorganizzò in base ad una “gerarchia” dei mittenti da lui stesso stabilita e fece rilegare le lettere in 8 diverse filze; che intervenne sulla documentazione apponendo titoli e, talvolta, repertoriando le unità documentarie che aveva creato; che isolò le 17 lettere di Michelangelo riunendole e legandole in un piccolo codice (attualmente “smontato” per garantire una migliore conservazione delle singole missive) che intitolò Lettere del Divino Michelagnolo Buonarruoti Simoni Gentilhuomo Fiorentino e Pittore, Scultore et Architetto scritte a Giorgio Vasari Aretino Pittore et Architetto Amicissimo suo caro.
Le lettere di Michelangelo
Non sappiamo se gli interventi di Giorgio Vasari il Giovane abbiano comportato anche la selezione e lo scarto di una parte dei documenti dello zio; sta di fatto che le carte dell’artista aretino sono giunte fino a noi nella configurazione (nel linguaggio tecnico usato in archivistica si direbbe “nel condizionamento”) e, probabilmente anche nella consistenza, assunte, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII, ad opera di Giorgio Vasari il Giovane. Infatti l’archivista fiorentino Francesco Cavini, incaricato nel 1791 dalla famiglia Spinelli di redigere l’inventario del suo archivio, registrò la presenza, al suo interno di un nucleo di documenti che chiamò “Scritture Vasari”, tra le quali vi erano anche le 8 filze di lettere ricevute dall’artista aretino, le Ricordanze e lo Zibaldone.
Ma perché l’archivio Vasari al 1791 si trovava conservato all’interno dell’archivio Spinelli?